Rassegna stampa
Enzo Bilardello | Ricordo di Quattrucci pittore dell’impegno
di Enzo Bilardello
Corriere della Sera | 8 maggio 1980
Per il pittore Carlo Quattrucci il fine non era quello di innovare né di sperimentare; per lui i caratteri della pittura erano stati fissati da tempo immemorabile e si trattava solo di scegliere quelli più confacenti alla propria personalità, per una resa equilibrata e onesta del proprio lavoro. Quattrucci è stato dunque un pittore oltremodo decoroso, sempre totalmente e visceralmente votato a quello che faceva. Romano, la sua data di nascita, il 1932, e la sua biografia lo collocano in quel filone della cultura europea vissuto sotto il segno dell’engagement, dell’impegno. L’impegno per un pittore della sua estrazione voleva dire che nessun artificio formale, nessun virtuosismo tecnico sarebbe riuscito a salvare la pittura se questa non avesse avuto un contenuto di pensiero, qualcosa di severo da raccontare e da additare e, anzi, i dati formali del dipinto dovevano quasi sciogliersi e annegarsi nel contenuto didascalico, in questo memento ammonitorio per lo spettatore. L’esigenza didascalica gli si era corroborata dopo il viaggio in Messico, dopo aver lavorato con Siqueiros nel solco della tradizione dei muralisti. Questa concezione politica travasata in pittura aveva poi trovato ribaltamenti prestigiosi nell’esempio e nell’amicizia di Rafael Alberti, esule, notevole poeta e anche pittore. Per dire della serietà con la quale Quattrucci affrontava il mestiere di pittore ricorderò la mostra che me lo fece conoscere, nel ’70 presso la Galleria La Margherita. Il tema era quello della città, la città nel traffico, con i monumenti annegati e spersonalizzati nello smog del combustibile e nel sudaticcio del brulichio umano. Era una visione opposta al trionfalismo macchinista dei futuristi. Ma Quattrucci prendeva anche le distanze dalla Roma perenne e sfatta della Scuola Romana che l’aveva vista come vuoto e silenzioso monumento di sé stessa. Da ultimo Quattrucci si è presentato con due atti che ne testimoniano la personalità serie e sofferta. Dapprima la copiosa e articolata mostra alla Galleria La Gradiva, nella quale ribadiva i suoi temi sociali trattati con una pennellata corrusca, densa tanto come a voler acchiappare il significato e tenerlo imprigionato negli impasti di colore. Una mostra che ne confermava appieno i limiti e pregi: limiti di un orizzonte di ricerca non troppo vasto; pregi di un’adesione totale del suo modo di essere al fatto pittorico, una sincerità assoluta. Il secondo atto, tremendo, è stato quello di chiudere il circuito con il mondo esterno: affetti, amici, gallerie, pubblico, politica. Quattrucci apparteneva pienamente a quella temperie storica che si è chiamata esistenzialismo. La scomparsa di questo è consegnata alla storia ed era inevitabile, la scomparsa dell’artista ci addolora per quanto di umano e vibrante è stato messo forzatamente a tacere.