Gli artisti di via dei Riari
via dei Riari 48 | Trastevere | Roma
Gli studi di Via dei Riari sono un’architettura spontanea realizzata negli anni ’60 da Carlo Quattrucci.
Nascono sulla copertura di un garage (ex stalle di Palazzo Corsini) nello slargo in cui termina Via dei Riari con affaccio sull’Orto Botanico e sul Gianicolo.
Dopo aver diviso un primo locale con gli scultori Giulio Ciniglia, Edo Janich e Lilli Argiolas, decise che era ora di avere uno spazio tutto suo e quindi costruì il primo studio (oggi occupato da Giovanni Tommasi Ferroni e Maya Kokocinski).
Nel frattempo anche Riccardo Tommasi Ferroni aveva deciso di trasferirsi lì e quindi Quattrucci gli lasciò il suo studio e costruì un secondo spazio che ben presto cedette a Carlo Ferri (e poi ai fratelli Ralli). Fu allora che edificò il suo terzo e ultimo studio.
Nel frattempo il poeta Rafael Alberti aveva bisogno di un luogo tranquillo in cui poter lavorare ed ecco nascere un altro studiolo.
Quando Alberti, alla fine della dittatura franchista che lo aveva reso esule, potè tornare in Spagna vi si trasferì Alessandro Kokocinski appena approdato a Roma.
Riccardo Tommasi Ferroni, Alessandro Kokocinski e Carlo Quattrucci condivisero per anni quel luogo denominato da Rafael Alberti “il monastero”.
Via dei Riari 48 divenne ben presto non solo luogo di lavoro ma anche d’incontro per tante personalità della cultura italiana e internazionale (da Carlo Levi a Siqueiros, Moravia, Pasolini, Guttuso, ecc.) e di irresistibili feste a suon di chitarra che si svolgevano nel terrazzo comune a tutti gli studi.
Pur nella diversità questi tre artisti costituivano un’ideale comunità artistica.
Li accomunava la loro visione dell’arte: figurativa e realista che si distingueva dal pop della scuola di Piazza del Popolo (Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, ecc.)
Il clima di intensa felicità creativa sviluppatosi negli anni ’70 intorno ai loro studi la ritroviamo descritta nel romanzo di Franco Simongini “La torre dell’orologio” (Rizzoli, 1979) che a Quattrucci, Kokocinski e al gruppo di via dei Riari dedica un intero capitolo.
Tra i tantissimi e disparati visitatori che allora vi si recavano si poteva incontrare il regista Valerio Zurlini dalle bellissime giacche inglesi, il critico Antonello Trombadori, esponente di spicco del partito comunista, Indro Montanelli e sua moglie Colette Rosselli (...). O, ancora, Giuliano Gemma, noto soprattutto come interprete dei western all'italiana ma anche vero attore di razza.
Mario Gori Sassoli
Sul terrazzo che guarda verso l'Orto Botanico, o davanti alla fiamma del camino, si improvvisavano cene saporite, si conversava, si stava allegri.
Vania Di Stefano
Foto
Ritratti
Gli artisti di via dei Riari
L'amicizia tra Alejandro Kokocinski, Carlo Quattrucci e Riccardo Tommasi Ferroni, cresciuta negli anni '70 a via dei Riari, è sempre stata vivace. Un triangolo generativo di idee, affetti, opere.Di omaggi reciproci, di scambi di ruoli e di roventi polemiche.
di Riccardo Tommasi Ferroni
Dal catalogo della mostra retrospettiva di Carlo Quattrucci
Dicembre | Gennaio 1983
Un artista vero
Il suo studio era accanto al mio, porta a porta, a Via dei Riari. E questo fatto era per me qualcosa di inquietante e rassicurante: una presenza rumorosa e misteriosa, una compagnia piena di vita. Come artista e come persona Carlo era il mio esatto opposto, ma andavamo d’accordo; c’era fra noi come una complicità silenziosa, l’intesa affettuosa di chi, in fin dei conti, sta sulla stessa barca.
Diceva sempre che i miei quadri con i suoi facevano “corto circuito”; che i miei soggetti per lui erano addirittura conservatori-passatisti-borbonici.
Era un insicuro, un timido, un sentimentale; e voleva essere un rivoluzionario, un confortatore di deboli e offesi, quando, poverino, non riusciva a consolare neppure se stesso.
Ricordo ancora il suo volto negli ultimi giorni della sua vita: era una maschera tragica. Dio solo sa quel che ha sofferto. E questo ricordo di Carlo così disperato della sua assorta e cupa solitudine domina su tutti gli altri: le cene nello studio, lui che cantava con quella voce profonda che mi meravigliava sempre in lui così piccolo, gli scherzi, i tiri a segno con le sue maledette pistole (aspettavamo il colpo di mezzogiorno dal Gianicolo per sparare) il suo irrompere continuo nello studio per chiedermi un fissativo o un nero d’avorio e raccontarmi le ultime notizie di quel che succedeva nella strana fauna di Via dei Riari. Tutti ricordi lontani.
Non so dire altro di Carlo; non sono un critico e non so parlare d’arte.
Ma una cosa posso dire ancora con sicurezza: era un Artista, un autentico artista.
di Alessandro Kokocinski
Dal catalogo della mostra retrospettiva di Carlo Quattrucci
Dicembre | Gennaio 1983
Carlo, fedele a sé stesso
… ognuno deve qualcosa a qualcuno. Come dimenticare il Quattrucci. Il suo umile, sensibile e concreto aiuto datomi sin da quando sono arrivato a Roma.
Oggi, in un flusso di ricordi rivedo la nostra breve ma intensa vita negli “studi” di Via dei Riari; ricordo i suoi giudizi che distillavano amarezza ma il suo sorriso diceva la voglia di vivere. Una vita, la sua, ridotta al minimo: la scelta dell’arte “politica”, affidata alla sola arma della sua dedizione, consegnata in modo definitivo al suo destino, che può essere interpretato come fallimento o condanna d’un tempo.
Condanna, oggi, degli equilibri del terrore – ad est come ad ovest – che con sofisticati congegni tendono a distruggere sentimenti o idee.
Io credo che Carlo sia rimasto fedele a sé stesso. E che l’epilogo drammatico della sua storia personale aveva origini complesse per la fragilità di certi valori politici ed umani che – in un mondo caotico ed oscuro com’è oggi – gli hanno vanificato l’esistenza e lo hanno precipitato nel non-senso della vita e della morte…
di Alessandro Kokocinski
Caro Riccardo
Al mio arrivo in Europa ebbi due folgorazioni sul cammino dell’arte: il primo con il Bronzino, alla National Gallery di Londra, e successivamente nel 1973, quando ancora una volta il destino incrociò le nostre strade, in via dei Riari… E fu la, sotto il tuo intelligente e nobile sguardo che mi hai fatto crescere da artista. Giorno dopo giorno con ferrea disciplina mi hai messo tra le mani lo strumento che mi permette oggi di continuare il tuo pensiero senza allontanarmi da me stesso (…) il maestro Riccardo, il fratello più grande, (ti ricordi?) ci scambiavano per tali le gentili signore che frequentavano le nostre mostre, e noi ridacchiavamo sotto i baffi con infantile complicità, poi commuoversi davanti alla grandezza della perfezione… insegnandomi il tremendo privilegio di dovermi misurare con l’arte classica (…).
di Carlo Quattrucci
Il brano è tratto dal testo di presentazione della prima mostra italiana di Alejandro Kokocinski, Disegni, presso la galleria Arte 27 in Trastevere, via S. Francesco a Ripa (26 febbraio | 20 marzo 1972)
Alejandro Kokocinski è un ventitreenne pittore argentino che ho conosciuto a Roma in casa di Rafael Alberti. È un ragazzo estremamente silenzioso e riservato. Vi è un’apparente contraddizione tra il giovanotto timido che ha la virtù di essere un buon “ascoltatore” ed ikl suo movimentato “curriculum vitae”.
Questo amico è arrivato a Roma. famosa palude infestata da sabbie mobili anche per gli artisti che hanno avuto il privilegio di nascervi, non aveva con sé che una cartella di disegni.
Come bagaglio potrebbe sembrare piuttosto modesto, ma coloro che hanno palato abituato a discernere il grano dalla crusca, rimarranno sorpresi della rara perizia e dal talento di questo artista.
Ci sono, tra le opere esposte alcune che mi hanno particolarmente colpito.
Una grassa signora che, riparandosi il volto a forma di teschio incorniciato da un enorme ridicolo copricapo, porta a spasso un piccolo elegantissimo bull-dog.
L’elemento macabro (las calavera) è ricorrente anche in altri disegni: tavolate di personaggi che sono l’espressione di un senso panico della storia e che riflettono l’amara esperienza dell’artista che, nonostante il suo nome, è un latino americano.
La cosa singolare di Kokocinski, al contrario di molti pittori del latino America, legati per tradizione ad una iconografia scaturita dal “taller de grafica popular” o dal muralismo messicano, è sollecitato da richiami filologici e stilistici di origine inconfondibilmente europea. È evidente che l’influenza di Grosz, Otto Dix, Kirchner e di tutto l’espressionismo tedesco con la sua crudele testimonianza di un mondo sull’orlo della catastrofe. ha contribuito a formare la coscienza figurativa di questo giovanissimo artista.
Le ragioni di questa scelta sono probabilmente da ricercarsi nella movimentata biografia di Kokocinski.
Il contesto in cui si è andato filtrando il suo linguaggio è il coacervo di contraddizioni che sono alla base dell’epoca in cui viviamo.
L’impegno di questo pittore è un “engagment” di tipo diretto.
Il segno lucido ed emozionale che impietosamente mette a nudo le contraddizioni della società che lo ha partorito, restituisce brutalmente la tensione psicologica a cui, durante la sua vita di gitano, Kokocinski è stato sottoposto.
Scriveva Franz Marc nel 1920:
“I grandi artisti cercano le loro forme non nella nebbia del passato, ma scandagliano alla ricerca del vero e più profondo baricentro della loro epoca. Soltanto oltre di esso possono instaurare la loro forma”.
Penso che questa sia la giusta chiave che ci permetterà di “leggere” le opere di Alejandro Kokocinski, a cui auguro “buena suerte” in un mondo nel qualche tttti i giovani artisti sentano l’esigenza di reagire alla volgare proposta di una civiltà basata sul “consumismo”, con il suo coraggio, il suo lirismo ed il suo grande talent0.
Carlo Quattrucci
di Riccardo Tommasi Ferroni
Il brano e tratto dal testo di presentazione della prima mostra italiana di Alejandro Kokocinski, Disegni, presso la galleria Arte 27 in Trastevere, via S. Francesco a Ripa (26 febbraio | 20 marzo 1972
Avrà una parola da dire nella storia dell’arte contemporanea
Non bisogna dimenticare che la stessa anima e le abitudini di Kokocinski sono permeate di quel carattere spagnolesco che gli deriva dalla sua lunga permanenza in America Latina, che ha già in sé i germi di una tendenza alla deformazione e a trafficare con la morte. A questo punto giova osservare che non è, come si sente facilmente dichiarare oggi, con il rifiuto dei sentimenti della propria terra che ci si può sprovincializzare, ma che soltanto il genuino talento può mantenersi fedele alle origini e da queste arrivare ad un risultato estetico universale
Se Kokocinski manterrà questa sua naturalezza, anche dopo aver gettato l’ancora in questo porto fastoso e incantatore dai moli sconquassati che è Roma, certamente, con il suo eccezionale talento, avrà una parola da dire nella storia dell’Arte contemporanea.
di Rafael Alberti
Poema dedicato a Carlo Quattrucci
Carlo Quattrucci pinta el botanico
Fuente de las ninfas,
lirios de agua, regias
victorias…
Desatado
jardin ardiendo al dia
con el sol,
con la luna
de las claras umbrias,
de otonos vivos, muertos, rutilantes,
bajo un fulgor de hojas enterrados.
Las temperas, los oleos mas brillantes
amasan, amasados
de rojos,
amarillos,
rosas fuertes,
verdes,
carmines,
malvas,
ultramares violentos
o sombras desvelados,
arboles, plantas, flores
como fieras,
como animals vegetales
contra los cuatro vientos,
levantados en todos los colores.
Se estiran las palmeras,
Sufren
El lejano aguacate, el ceibo, la sofora
al hablar con los pajaros en lenguas extranjeras.
y se exaltan los cactus, las yucas, los magueyes,
puas y espadas, amenazadores,
bajo erguidas jirafas,
camellos y elefantes
que agitan las orejas
para librarse de los alcanfores.
De la escalinadas, descendida,
la vista se pasea,
sometida a la mano que recrea
el espacio floral de tanta vida,
la mano que lo toma
y al papel lo traspasa, conmovida,
en el Jardin Botanico de Roma.
di Rafael Alberti
Poema dedicato a Alessandro Kokocinski
Alejandro Kokocinski, hoy
Casi impasible, mudo, silencioso,
Alejandro es la vida, joven, dura,
dura demasiado,
abiertamente oscura,
angel obrero en raudo y triste acoso,
tierno, pobre, feroz, desesperado,
luminoso,
mordiente, esperanzado,
sumergido,
emergido
de las mas rotas realidades,
agonicas profundidades,
de este dolor, este estampido
que es hoy la tierra,
el viento
que lo lleva y lo trae
en sacudido movimiento,
la mano firme, zarpa y ala en guerra,
que dibuja,
contrae,
aprieta, estruja
y que casi goyescamente espanta
en un mundo desnudo,
que te echa un nudo
en la garganta.