Dicembre 12, 1968In testi critici, rassegna stampa, 1968
Rassegna stampa

Duilio Morosini | Quattrucci e i volti del Black Power alla galleria Capitello

di Duilio Morosini
Paese Sera | 12 dicembre 1968


L’esposizione di tutta una serie di quadri dedicati ai protagonisti del Black Power ed alla loro lucida e coraggiosa azione rivendicativa ha suggerito a Carlo Quattrucci l’idea di presentare le opere sotto una forma tale da travalicare il tradizionale allestimento di una mostra di pittura, per assumere, nella misura del possibile (lo spazio di una piccola galleria come Il Capitello) le dimensioni del fatto di dominio pubblico, del pubblico invito alla comprensione ed alla solidarietà. La galleria come prolungamento ideale della strada cittadina, diciamo. Il che non significa che la soluzione adottata abbia una qualche parentela cogli espedienti ottici e di “ingombro” della cosiddetta arte di ambiente e con quelli della rapida e provocatoria teatralità dello Happening. Tutt’altro. È dalle tecniche più sobrie, più “fredde” e didascaliche, dell’inquadratura e della impaginazione che ha pensato infatti, l’autore: adottando – anche – la tipografia come legamento tra episodi, ma, puntando, soprattutto, sulla “riforma” del metodo figurativo, sulla potenziale capacità della pittura di riscattare dalla cronaca gli strumenti della divulgazione (e persuasione) di massa. Adottando, dunque, la soluzione meno facile: e tanto meno comoda in quanto interamente basata sul “martellamento” della ininterrotta galleria di ritratti (e di ritratti dalla plausibilità tutt’altro che pacifica, tutta da conquistare, trattandosi di figure popolari – tanto vicine a noi per le tensioni ideali e gli ardimenti – quanto lontane dal nostro ambiente sociale, dalle nostre dirette quotidiane esperienze).
Ralph Brown, Carmichael, Cassius Clay, Terry X, personaggi che (tolto lo spiritato Clay, colto qui, con accenti affettuosamente “caricaturali” nella sua maschera vociferante e generosa e tolto qualche gruppo di volti, commentati con inserti di una simbologia di vago sapore “liberty” piuttosto estranea all’assunto stesso della mostra) devono dunque, tutta la loro concretezza al fatto di essere trattati sotto la forma della persuasiva “convenzione”: al fatto di essere, sì, figure carpite alla attualità, ma non certo come stralci di un’azione drammatica inquadrabile in un bel definito ambiente, né come brani di analisi fisionomica ma, piuttosto, come caratteri illuminati dall’esterno, come proiezioni (oscillanti tra cronaca e leggenda) di giudizi politici e morali già acquisiti, come prodotti di scelte ideali (o conflitti ideali) scontate al livello dell’esperienza di massa; insomma, come iconografia che già appartiene al mitico dominio della psicologia collettiva. Pittore interessato, sino a ieri, a problemi figurativi di diversa natura, Quattrucci abborda quest’esperienza con la discontinuità di risultati, cui s’è accennato, ma con un tale accanimento nel perseguire la precisione e lo scatto dell’immagine da far pensare ad un suo deciso inserimento nell’area di quelle ricerche che oggi rendono ad assicurare all’arte il suo potere di intervento passando attraverso un diretto confronto ed una diretta competizione (tanto insidiosi quanto ineludibili) con gli altri strumenti della “civiltà delle immagini”.