Testi critici
Rafael Alberti | Non sono passati gli anni
di Rafael Alberti
Poema dedicato
a Federico Garcia Lorca, Antonio Machado e Carlo Quattrucci
España arriba España continua ad essere il mio specchio
trenta anni di pace.
Mi guardo sempre in lui.
Mi trovo ogni giorno più giovane, più felice.
Non ho età, come i morti.
Vuoi dire che hai
la stessa età di quando ci ammazzasti.
Sei un cimitero.
Per la grazia di Dio sono in grazia.
Valle de los caidos!
Morti.
Morti.
E morti
Archiviatore di morti.
Collezionista di morti.
Museo di morti.
Non ho nessun rimorso di coscienza.
Morti.
Un tremendo vuoto.
Un buco.
Un brulichio di sangue fucilato.
Anche se non devo morire, mi sono guadagnato il cielo.
Morti.
Sole e turisti e allegria e re.
La Spagna vive per me.
Guardatela.
Questo e il mio regno.
Morti.
Per grazia di Dio governo la Spagna.
Sono l’erede di me stesso.
Spagnoli, io vi ho portato alla vittoria.
Morti.
Siamo ancora insepolti.
Ci calpesti tutti i giorni.
Al fango dei tuoi stivali
si appiccicano tutti i tuoi morti
crepitiamo sotto i tuoi piedi
vivi, anche se vivi morti.
In verità siamo il tuo specchio
Sono il Messia che la Spagna aspettava.
Ecco qui la mia pace, gli anni promessi.
Pace dei morti.
30 anni di pace.
Pace dei morti.
Feriti.
Perduti.
Congelati.
Bruciati.
Pianti.
Schiacciati
Bastonati.
Insultati.
Morti
30 anni di pace.
Pace dei morti.
In verità, questa Spagna arriba España
continua ad essere il mio specchio.
Morti.
Morti.
Morti.
Ma i morti,
i morti,
alzano,
alzano,
alzano la mano i morti.
Lontano, laggiù, Machado,
e ancora sepolto, laggiù.
Un pioppo fuggito
dal Duero lo veglia,
continua li a vegliarlo.
Io lo dissi ben chiaro
E ben chiaro lo dico.
Io non sono con voi.
La mia mano
Non ha speso una sillaba
In vostro onore.
La mia mano
Non ha fatto cadere dalle mie labbra
Una sillaba sola
Per cantarvi. Un giorno di Madrid
io lo sentii Machado:
i piedi non mi servono ormai,
ma ho le braccia…
Pioveva morte dal cielo
Madrid si dissanguava
dai quattro costati.
Poi se n’andò…
Laggiù continua
a parlare sotto la terra.
Quello che va a cavallo,
quello che non è mai arrivato a Cordoba,
quello sei tu.
Quelle quattro colombe
Che nelle proprie ombre van volando ferite,
quelle sono te.
Assassinato dal cielo
Lascerò crescere i miei capelli.
Con gli animaletti dalla testa rotta
e l’acqua cenciosa dei piedi secchi.
Inciampando nel mio volto diverso di ogni giorno.
Assassinato dal cielo.
Sento una voce che grida: Federico.
Al di sopra dei tetti: Federico.
Al di sopra dei giardini: Federico.
Dalle torri mozzate: Federico.
Dalle fonti perdute: Federico.
Dai monti gelati: Federico.
Dai vicoli ciechi: Federico.
Dalla terra scavata: Federico.
Sotto la terra sola: Federico.
– Come, com’e stato?
– Cosi.
– Lasciami! In quel modo?
– Si.
Il cuore se ne andò solo.
– Ahi! Ahimè!
– Federico
È ancora in piedi.
Ancora
si può parlare di lui,
si può dipingere il suo volto impassibile,
il suo funereo, decaduto, rigido volto di marmo,
perché e ancora li immerso, immerso
in un mare di sangue, piantato li
davanti al mercurio insanguinato di uno specchio,
a guardarsi nella sua opera, a contemplare il suo arriba España triste,
la Spagna morta divorata dai vermi.
Carlo Quattrucci lo ha dipinto in Roma.
Ha potuto dipingerlo così, ha potuto dipingerlo
perché dopo trent’anni ancora
non son passati gli anni.
No, non son passati.
Roma 1969