Febbraio 1, 1979In Roma, testi critici, 1979
Testi critici

Carlo Quattrucci | Campo de' Fiori lama de cortello un gatto una siringa e uno spinello

di Carlo Quattrucci
Una lettera di Carlo Quattrucci a Domenico Javarone
edita da "Carte segrete"
a cura di Massimo Riposati


Caro Javarone, da molti anni mi riservavo, nei momenti di noia e di malinconia che fanno da contrappunto agli attimi, “tra virgolette” di ispirazione che mi accompagnano nella mia assurda vita, il diritto di cambiare mestiere.
Tengo a precisare che io non credo nella “ispirazione”.
Il fenomeno in questione è un privilegio dei dilettanti. Io sono un professionista, e pago un duro prezzo per quel margine di libertà che la mia “professionalità” mi offre.
Posso andare a spasso per il mondo con un paio di zoccoli svedesi e dei “blue jeans” e nessuno mi criticherà mai per questo. Al contrario: è la mia liberta! Qual è il pedaggio che ho pagato, pago e pagherò per conservare questo “privilegio”?
Una tangente altissima che comporta il rischio di dover scrivere un “qualcosa” che tu da anni mi hai chiesto per “Carte Segrete”.
(Io sono un uomo che ha sempre pensato che risulta più economico “fare domani quello che di può fare oggi”).
Accetto volentieri la tua proposta.
Sono un “pajaro corsario que conoce el alpiste” come cantava Athahualpa Yupanqui, vale a dire che non sono mai stato un canarino in gabbia che si nutre con miglio elargitogli da una vecchia zia, ma un volatile libero, preda di falchi e di altri uccelli di rapina.
Ma tutto questo non ha nessuna importanza. Si tratta di libera scelta, ed in un certo senso mi considero più che un privilegiato, un pirata, che è riuscito a vivere per ben quarantasette anni dipingendo ciò che gli interessava senza mai prostituirsi o scendere a compromessi.
Per un “pirata onesto” debbo riconoscere che questo costituisce un buon bottino, se a ciò si aggiunge che mi sono permesso il lusso di visitare, come un “passeggero clandestino” una vasta porzione di mondo, debbo francamente riconoscere che il bilancio della mia vita, fino a questo punto, è in attivo.
Sono sempre riuscito, con subdoli inganni ad evitare di trovarmi dalla “parte sbagliata” della scrivania.
Detesto gli uffici, mi innervosiscono, e nonostante l’invidia che provo nei confronti di tutti coloro che sanno compilare correttamente un vaglia postale, non cambierei i miei panni con quelli dei funzionari che “dall’altra parte” del tavolo, tentano disperatamente di aiutarmi.
In generale si tratta di buone persone intelligenti e preparate, che si sforzano da lustri di farmi capire la differenza che passa tra la dichiarazione sui redditi ed un elefante.
Non ci riusciranno mai!
Loro lo sanno e, bontà loro, mi perdonano!
Io adoro Roma, che considero la città più incredibile del mondo.
Il mio vero amore romano e quella fetta di città che inizia da Ponte Sisto e che arriva dolcemente, passando per Campo de’ Fiori fino a corso Vittorio.
Ieri sera, passeggiando per piazza Farnese, straordinario capolavoro di bella architettura, dove la facciata del “Palazzo”, argentea e solenne rifletteva nei cristalli delle finestre il sole rosa calante del pomeriggio romano, vidi una cosa emozionante.
Al centro della grande piazza, che io ho sempre considerato un palcoscenico, alcuni operai stavano montando una piattaforma, esattamente tra le due fontane. In circo in piazza!
Estate romana, lessi su un manifesto. E rimasi sbalordito perche pensai che nonostante la lodevole iniziativa del comune il “circo, in questa zona e sempre esistito”!
Si tratta di un fatto endemico e non episodico, come la fame in India, la salmonellosi a Napoli e lo “smog” a Londra. Io sono anni che dipingo una mia “teoria”. Gli artisti dipingono ciò che vedono e ciò che vivono, salvo rare eccezioni che d’altronde non m’interessano. Toulouse Lautrec disegnava le ballerine del “Moulin Rouge”, Vespignani le periferie romane ed io mi diverto a riproporre il grande circo di “Campo de’ Fiori” e dintorni.
Chi sono i personaggi che io tento di evocare nei miei quadri? Il fantasma della “Lozana andalusa”, bellissima cortigiana spagnola che, secondo la leggenda nel XVI secolo elargiva le sue prestazioni a monsignori e cardinali. Giordano Bruno, il “triste monarca dei mercati” come scrisse Rafael Alberti. Il drogato, il prete spagnolo, le zingare con i neonati al petto, il mongoloide, il “Barone”, la prostituta, il “Cartonaro”, il “Ras” del biliardo, invidiato e stimato nel contempo dai frequentatori abituali del bar di Piazza Santa Caterina della Rota.
Si dice che in questo piccolo Bar, a volte Santa Francesca Romana, sul calar della sera, entri con il suo fedele Angelo custode a consumare, lei un’aranciata e lui una birra.
Ed infine, in questa fetta straordinaria di una Roma barocca, cattolica, blasfema e puttana, calano gli stranieri che con i loro vestiti “kitch”, invadono come le cavallette piazze e vicoli e si mischiano con gli artigiani che restaurano nella strada falsi “Salvator Rosa” o vecchie “guantiere napoletane”. Nessuno si lamenta, tranne i due poveri carabinieri che sono preposti alla difesa, con il buono o il cattivo tempo, dell’Ambasciata di Francia.
Si tratta di un mondo violento però armonico, dove, tra cumuli di sacchi di immondizie, banchetto di gatti e pantegane, può uscire fuori o la lama di un pugnale o una graziosa turista che ti chiede in un italiano precario, però pieno di buona volonta, un indirizzo qualsiasi.
Penso di aver terminato.
La mia “teoria” è che in questo perenne e chiassoso “carnevale romano”, si è inserito come nella “Morte rossa” del grande Poe, “il Maligno”, e che sia stato lui a mettere nella mano destra del fratello di Gian Maria Volonte, il coltello che lo ha trascinato, prima a “Regina Coeli” e poi al suicidio.
Nei miei quadri, dipingo il Demonio, per esorcizzarlo.
Sono un uomo molto superstizioso.
“Campo de’ Fiori, lama de cortello, un gatto, una siringa e uno spinello”.
Tuo
Carlo Quattrucci