Rassegna stampa
Carlo Quattrucci | Sei mesi di lavoro in Messico accanto a David Alfaro Siqueiros
di Carlo Quattrucci
L'Unità | 31 dicembre 1966
David Alfaro Siqueiros, il grande pittore messicano ha voluto festeggiare con un viaggio in Italia i suoi settant’anni. Egli ha già visitato Milano e Firenze e si trova attualmente a Roma. Pubblichiamo oggi l’interessante testimonianza di un giovane pittore italiano, Carlo Quattrucci, che con Siqueiros ha lavorato recentemente in Messico, per sei mesi.
Sintetizzare la mia esperienza di sei mesi di lavoro con David Alfaro Siqueiros, in Messico, non è semplice. Atterrai all’aeroporto di Mexico la sera del 12 marzo 1966. Il giorno seguente partii per Cuernavaca, che dista circa 60 chilometri dalla capitale, per conoscere i miei nuovi amici. Arrivai finalmente al taller di Siqueiros, che è una bella costruzione situata in una zona residenziale della cittadina. Scesi dalla macchina e suonai ad un grande cancello rosso minio, dietro a cui latravano dei cani: ci aprì un uomo, che, riconoscendo nella mia accompagnatrice la segretaria di David, ci fece subito entrare nel taller. Debbo confessare che la prima impressione che ebbi del lavoro incominciato, superò nettamente le mie previsioni. La prima cosa che mi si parò davanti fu lo spettacolo di sei o sette enormi pannelli sorretti da delle catene e di due o tre giovanotti che stavano armeggiando attorno ad essi. A prima vista mi sembrarono enormi quadri astratti e solo più tardi mi resi conto che si trattava di piccoli frammenti del mural. Dopo pochi minuti venne Siqueiros. Era completamente ricoperto di colori dalla testa ai piedi, e dopo avermi abbracciato mi chiese se avessi fatto un buon viaggio e se conoscevo lo spagnolo. Gli risposi che, purtroppo, non parlavo una sola parola della sua lingua, ma che avrei fatto di tutto per apprenderla al più presto. Così con molta fatica, a causa della reciproca mancanza di conoscenza dell’idioma, Siqueiros mi guidò nel taller spiegandomi quale sarebbe stato il mio futuro lavoro e come era organizzata l’equipo. La prima persona che mi fece conoscere fu Mario Orozco Rivera, il capo del taller, con il quale, in seguito, strinsi grande amicizia. Il taller misura trentacinque metri di lunghezza, diciassette metri di larghezza e nove metri di altezza, approssimativamente. Queste sono le misure della sala principale, che è servita da guide elettriche installate nel tetto, e che servono a spostare i pesanti pannelli ed a riporli nelle loro sedi, che sono delle grandi fenditure aperte nel pavimento. Nella parte posteriore del taller è installato un laboratorio con ferri per diversi usi; compressori, pistole ad aria, macine elettriche per colori ed un grande assortimento di barattoli di pigmento e solvente. La cosa che più mi colpì fu la specie di” osservatorio” alto circa sette metri, situato di fronte al taller, al quale si accede tramite una scala a chiocciola. Domandai a Siqueiros il perché di quella strana torretta e lui mi rispose che l’aveva costruita il committente del mural, per poter osservare il lavoro senza disturbare i pittori. Il pomeriggio lo passammo nel posto dove i pannelli dovevano essere montati, e solo allora mi resi conto della grandiosità di questa opera. L’edificio che ospiterà il mural è situato nelle immediate vicinanze di un enorme hotel, il Casino della Selva, destinato ad ospitare quasi esclusivamente turisti nord-americani. La vicinanza non è casuale. Infatti il committente del mural, lo spagnolo Manuel Suarez, è anche il proprietario del complesso alberghiero. La sua intenzione è fare sul tetto dell’edificio che ospiterà l’opera di Siqueiros, un grande eliporto ad uso dei clienti del suo hotel. La prima volta che vidi l’edificio in costruzione, esso era costituito solo da enormi pilastri di cemento armato. Mancava completamente il tetto ed in alto era situato un enorme cartello con sopra la scritta:” Qui si costruisce la Cappella Siqueiros, il mural più grande del mondo”. Nel corso della passeggiata Siqueiros mi disse che i pannelli che si stavano dipingendo nel taller sarebbero stati successivamente trasportati nell’edificio e che da quel momento in poi il compito dell’equipo sarebbe stato quello di lavorare sul posto, sopra impalcature a parecchi metri di altezza, per terminare l’interno della volta. Chiusi, così, la mia prima giornata messicana e l’appuntamento fu per la mattina seguente nel taller. Il lunedì ebbi la possibilità di conoscere quelli che sarebbero stati i miei compagni di lavoro per molti mesi. Siqueiros mi presentò Mario Orozco Rivera, Luis Arenal, Guillermo Ceniceros, Fernando Sanchez: tutti messicani. Il guatemalteco Julio Solorsano, gli israeliani Igall Maoz e Hedva Megged ed infine Marion Bigelow statunitense. Successivamente Mario Orozco, in qualità di jefe del taller, cominciò a spiegarmi quale sarebbe stato il mio futuro lavoro. La prima cosa che mi fece rilevare fu che Siqueiros, al contrario di Orozco e Rivera non lavorò mai con tecniche tradizionali. Il suo rifiuto a dipingere a ”fresco” fu motivo di lunghe polemiche con i suoi grandi colleghi. Egli, per primo, si servì della piroxilina e degli acrilici in genere. Dal materiale industriale nacque in seguito la tecnica “dell’accidente controllato” di cui Pollock, dopo la sua esperienza con Siqueiros, si servì fino alla morte. Mario Orozco mi spiegò che i pannelli di cui si compone il murale sono di “asbesto” un materiale a base di cemento molto simile all’”eternit”. La novità del colore a base di acrilico consiste nel fatto che, essendo composto esclusivamente con materiali chimici e mancando di olii e di medium, che si potrebbero alterare con il tempo, è per conseguenza assolutamente stabile. Né il sole, né le piogge tropicali di Cuernavaca lo potranno alterare. Al contrario, molti dei “freschi” di Rivera, ad esempio quelli dipinti nell’edificio dell’”ex Aduana” nella piazza di Santo Domingo, sono ridotti in condizioni pietose. Dopo avermi mostrato l’aspetto tecnico del mural, Mario Orozco passò a spiegarmi il contenuto dell’opera. Siqueiros considera questa sua fatica come un riassunto della sua teoria sulla pittura murale in funzione di uno spettatore in movimento. Esso rappresenta la storia dell’umanità. Le pareti della grande sala saranno coperte dalla rappresentazione di una marcia che segna le diverse tappe storiche. Il ciclo si inizia col nomadismo che a poco a poco va dando luogo ai raggruppamenti umani. L’opera è caratterizzata da un forte dinamismo. Siqueiros usa infatti, con straordinaria abilità, dipingere raggruppamenti di figure per ottenere degli effetti cinetici. Al centro della volta è dipinta una impressionante composizione che, guardata da diversi angoli, sarà nel medesimo tempo, o un uomo o una donna, il punto di partenza, cioè, della nostra esistenza. La cosa che caratterizza questa opera è che essa è stata concepita per uno spettatore attivo in movimento. Questo aspetto è molto importante perché contrasta con lo stadio in cui si trova la maggior parte dei muralisti messicani che dipingono dei grandi pannelli statici per uno spettatore immobile. Parlando, in seguito, con Siqueiros mi sono reso conto dell’importanza di questo concetto. Infatti egli considera i murales ”piani” come dei grossi quadri da cavalletto ed insiste nel riaffermare che le difficoltà sorgono quando invece di dipingere su di una parete liscia si lavora sopra un piano curvo. L’esattezza di questa teoria la sperimentai lavorando in seguito nel murale di Santo Domingo. Può sembrare “l’uovo di Colombo” però solo dipingendo sotto una cupola ci si può rendere conto che un cerchio può, con il semplice spostamento di due metri, diventare un ovale e che una linea retta rimane retta solo se la si guarda dal punto in cui è stata disegnata. Il murale di Cuernavaca articola in sintesi lo sviluppo di una marcia positiva delle forze popolari che lottano per l’avvenire, contro le forze negative che tentano di sbarrarle il passo. Sopravvengono l’urto e l’aggressione e dopo la marcia si riunisce con aspetto di ritirata per ritornare al punto di partenza. Per una serie di circostanze, l’edificio non ancora pronto, la necessità di finire altri murales, io non lavorai a Cuernavaca. Siqueiros, invece affidò a Mario Orozco il compito di mandare avanti e, se possibile, terminare altri due murales che aveva iniziato molti anni prima a Città del Messico. Fu così che Mario Orozco ed io ci trasferimmo, prima nel “Castillo de Chapultepec” e dopo nell’edificio dell’”Ex Aduana” dove per cinque mesi dipingemmo insieme realizzando una favolosa esperienza di lavoro sullo schema di un murale iniziato da Siqueiros trentasette anni addietro. Purtroppo non ho lo spazio che mi permetta di descrivere l’emozione che mi ha dato questo tipo di lavoro così nuovo per me. Vorrei solo dire che, a mio avviso,” el Arte grande”, l’arte pubblica cioè, a dispetto delle polemiche e dei suoi nemici che la vorrebbero relegare nel dimenticatoio della storia, è un’arte che in una società futura, più moderna e organizzata, avrà il posto che giustamente le aspetta. Ed io penso anche che i giovani pittori messicani che considerano con disprezzo una delle maggiori espressioni artistiche nate nella propria terra, farebbero bene a difendere il “muralismo “vero” (e non la demagogia ufficiale). Il problema della crisi del muralismo messicano moderno è qualcosa che affonda le sue radici nella struttura stessa dell’attuale società messicana e che, per la propria vocazione pubblica,” el Arte grande” è sempre, o quasi sempre, condizionata dalla società committente. L’unico pittore che può permettersi di sfuggire alle pressioni ed ai tentativi di “addomesticamento” fatti dalle autorità è David Alfaro Siqueiros. Ma questo è dovuto solamente al grande prestigio ed alla potenza di questo protagonista della pittura moderna, che, dall’alto della sua autorità, può ancora permettersi il lusso di dipingere sui muri degli edifici pubblici la storia della rivoluzione del suo popolo, senza bisogno di edulcorare e di sofisticare la realtà. Purtroppo, per i giovani pittori, il problema è diverso. È nato nel Messico un fenomeno che non è solamente un fenomeno “locale”: si tratta della svirilizzazione di un fenomeno sorto e sviluppatosi in un clima di tragedia rivoluzionaria e di grande passione culturale. Il giovane ”muralismo” messicano si inquadra, a parte alcune rarissime eccezioni, nella politica demagogica del governo. Il problema è serio ed è difficilmente esemplificabile in così poco spazio. Finita la fase “armata” della Rivoluzione, i vari governi hanno sfruttato la parola “rivoluzionario” realizzando un’operazione indolore di imborghesimento e di tradimento dei principi stessi della lotta del popolo messicano. Le figure di Zapata, di Villa, di Obregon e di Calles, sono sempre al centro di ogni cerimonia pubblica. Si tratta di una intelligente operazione a buon mercato, che permette allo Stato di coprire con un abito rivoluzionario una vocazione decisamente reazionaria. Questa breve parentesi politica è importantissima per poter realizzare il fenomeno del declassamento del muralismo messicano. Con questo non voglio dire che con Siqueiros si spegnerà “el Arte grande”. Intendo dire solamente che il muralismo di oggi è un muralismo imbavagliato, imborghesito.