Aprile 15, 1970In testi critici, 1970
Testi critici

Mario De Micheli | Arte Contro

di Mario De Micheli
Dal catalogo "Arte Contro 1945-1970 dal realismo alla contestazione"
Vangelista Editore - Milano - 1970


È già da qualche anno che Quattrucci va elaborando senza inutili remore, con libertà, il ciclo dei suoi dipinti, dove s’incontrano eroi e tiranni, colombe e cavalli notturni, paesaggi d’alba e paesaggi d’incendio: il ciclo del “Black Power” e il ciclo dedicato alla Spagna.
Il linguaggio di Quattrucci possiede una virtù di sintesi che scioglie l’immagine anziché renderla contratta: il contesto dell’immagine cioè, nella sua enunciazione plastica, si semplifica in una essenzialità non schematica, dove grafia e colore si integrano spontaneamente. una grafia fluida, nitida, ondulata; un colore limpido, che ha buie profondità e brillanti accensioni senza però perdere mai la sua dote di ventilata stesura. In genere la grafia tende a stabilire i margini generali dell’immagine, mentre il colore a larghe partiture vi si distende all’interno, evitando ogni contrasto risentito, trovando la soluzione, nel passaggio da una zona all’altra, in un rapporto cromatico concomitante.
Il risultato è quello di un’immagine che vive tra simbolo e immediatezza, tra realtà osservata e amata e realtà sollevata ad un puro livello contemplativo.
Quattrucci si muove, è il caso di dirlo, sul classico filo del rasoio. La sua è una pittura difficile, non già perché ermetica, ma perché la riduzione stilistica ch’egli impiega nella strutturazione delle sue immagini, è quanto mai al limite fragilissimo fra une stremo di purezza e il rischio di una dissolvenza in uno spazio vuoto, privo di risonanza. Ma è proprio su questo filo del rasoio che Quattrucci insiste a far stare in bilico, in un difficoltoso equilibrio, le sue immagini, convinto com’è che il rischio è l’unico bene di cui la pittura e la poesia devono nutrirsi.
È questo quindi che bisogna apprezzare della pittura di Quattrucci, la purezza, la trasparenza, il dolce e nitido slancio, la convinzione ferma di dover definire l’immagine, di renderla chiara e leggibile sia pure col pericolo di spezzare il fragile equilibrio del quadro.
Ma si tenga presente che una simile convinzione fa parte integrante della visione di Quattrucci. L’inclinazione ad accogliere in sé i momenti più struggenti, o drammatici, o esaltanti della vita, coincide infatti col rifiuto della solitudine come condizione ineluttabile dell’esistenza. Ed è in questa inclinazione, dove confluiscono o da dove di dipartono anche le ragioni di ogni altro comportamento morale e politico, che prende appunto energia il suo libero linguaggio di comunicazione, di cui egli non potrà mai fare a meno.
Quattrucci si colloca così nell’ambito di quella tendenza figurativa che oggi appare come una fra le più vive, ma vi si colloca con un profilo non confondibile. Egli non è un pittore di critica sociale, non è un pittore di epica civile, non è neppure un pittore di contestazione alla ricerca di una formulazione plastica desunta dai mezzi impiegati dai mass media. È, al contrario, un pittore che ha bisogno di trattare ogni suo tema mediante una trasposizione lirica che filtra il motivo sino ad enunciarlo senza strappi espressionistici, senza iperboli d’urto, senza l’uso di una iconologia banalizzata. Ma ciò, si badi, non significa che dalle tele non scaturisca esplicitamente il senso delle sue scelte, dei suoi desideri e dei suoi giudizi; significa solo che tale senso è traferito senza residui nella nitidezza dell’immaginazione.