Dicembre 10, 1971In Roma, testi critici, dai cataloghi, 1971
Testi critici

Carlo Quattrucci | Prefazione al catalogo "Los Angeles y los coches"

di Carlo Quattrucci
Galleria "La margherita" | Roma
10 dicembre | 5 gennaio 1971


Roma è oggi investita da una serie di contraddizioni che rischiano di deformare irreparabilmente il volto di quella che è stata una delle più belle città del mondo. Il ritmo frenetico della vita moderna è la logica conseguenza di una politica economica che impone al cittadino di “produrre per consumare” e di “consumare per produrre”.
E’ ovvio che, se collateralmente alla vendita dei prodotti di consumo (in questo caso mi riferisco alle auto) non esiste una politica urbanistica efficiente, ci si troverà fatalmente di fronte ad una strada senza uscita.
Si creano sopraelevazioni abusive nel centro storico, i mezzi pubblici sono insufficienti ed il caos dilaga.
La mia intenzione è di restituire l’immagine di una Roma “non tradizionale”: vorrei chiamare questa mostra “Angeli e automobili”.
L’idea mi e venuta quando un giorno, passando per il lungotevere ho visto gli angeli del Bernini sovrastare una marea di veicoli, intrappolati dalla caotica congestione del traffico. Fermi nel tempo, testimoni muti ed impotenti, costretti ed imbalsamati nel marmo in cui l’Artista li volle imprigionare, gli angeli assistevano, silenziosi e severi, ad uno spettacolo d’inciviltà fatto di colpi di clacson e di ingiurie che non è solo la fine dell’ epoca che li ha partoriti, ma purtroppo il principio di un mondo a venire che è legato solo allo sviluppo industriale.
E’ come la storia dell'”apprendista stregone”.
Si liberano le scope e poi non si sa dove andranno a finire.
Io sono romano ed amo questa città, destinata a trasformarsi in un qualcosa che mi spaventa.
E’ per questo che voglio fissare sulle mie tele le immagini di ciò che era e di ciò che è.
Angeli, turisti, automobili, isole pedonali, hippies, automobili, prostitute, traffico, ingorghi, clacson, angeli, gente che litiga per parafanghi ammaccati, angeli impotenti e stupiti, auto, ancora auto, e sopra, ancora fermi, giudici silenziosi, gli angeli del Bernini.
Penso che un giorno quegli angeli diventeranno di metallo e le auto di marmo.
Ed allora gli Angeli voleranno come i cavalieri dell’Apocalisse liberi e felici, sopra un sudario congelato di carcasse impotenti, trasformate in pietra.
La Roma di Pinelli, di Trilussa, di Gioacchino Belli “peligro para caminantes”, come scrive Rafael Alberti, sta morendo.
Il suo destino è già segnato. Le “isole pedonali” popolate da una folla notturna di hippies che si mescolano coi ladri, i macro e le prostitute, sono il risultato del drammatico, ma inevitabile, processo d’internazionalizzazione di questa vecchia città barocca che si sta trasformando in un’assurda metropoli.
Io non voglio giudicare ciò che sta accadendo, né intendo versare lacrime su di un passato che rimarrà appeso alle corde delle chitarre suonate (per i turisti stranieri), nelle vecchie osterie romane.
Mi limito ad osservare con sgomento che il mondo cammina in fretta, e che parallelamente al progredire dell’intelligenza-coscienza dell’uomo, corre come un treno inarrestabile, una catena di montaggio che partorisce virus contro i quali non ci sono vaccini.
Lavoro in un vicolo cieco di Trastevere. Dalla mia terrazza posso vedere nove ettari di bosco: l’Orto Botanico.
Le mie notti non sono tranquille.
Il mio incubo e di vedere, affacciandomi un mattino alla finestra, nascosti tra le foglie di un noce americano, gialli come gli occhi d’una civetta, i fari di un’automobile che ha deciso d’insediarsi nel mio studio, trasformandolo nel suo garage.