Testi critici
Maria Teresa Léon | Prefazione al catalogo "21 autoritratti"
di Maria Teresa Leon
Prefazione alla mostra
"21 Autoritratti"
Siamo di fronte alla tragedia dei sessi. Davanti all’io che non si mostra premeditatamente, ma che erompe dal profondo di una sincerità tutta tesa nello sforzo di nascere, di rinascere e vivere e guardare, anche se strizza l’occhio da quella tiratrice scelta che è. Un salto nel vuoto, diremo? No, tutto l’opposto: è la creazione, la realizzazione di quello che potremmo desiderare in quell’istante, qualcosa che ci riempirebbe di calore le mani. Una forma del pensiero. In questi pensieri di Carlo Quattrucci è il riflesso delle sue stesse verità, lo specchio, un modo virile di presentarsi, l’essenza della sua sincerità nel manifestarsi come egli crede di non essere veduto, il suo richiamo per intrattenerci.
Ma perché nessuna forma di donna nel suo specchio? Nei suoi quadri il gran teatro del mondo si spiega magistralmente manifestandosi in un solo personaggio che spinge la propria sincerità al punto di proiettarsi in solitudine, senza accettare il tragico dualismo che ci si oppone.
Perché ha voluto il pittore che fosse una donna a commentare quel suo esistere nello specchio magico della storia? Non saprei. Forse lo avrà sedotto quella “mancanza di logica” propria, a quanto dicono, di noi donne. O forse avrà inseguito in queste linee la maniera femminile di dire verità: quantunque, infatti, ci si accusi sempre di non comprendere le finissime sfumature del lavoro dell’uomo, egli sa benissimo che siamo maestre nell’arte di dire si o no.
Davanti a questo specchio magico, Carlo Quattrucci non ha avuto alcun imbarazzo a scoprire ai nostri occhi, in colori e linee, il suo intimo io ansioso – per offrirlo alla donna che ama -, ad attirare il nostro sguardo sulla sua pittura e inchiodarci all’elogio, per raggiungere una sua tranquillità. Tuttavia, in questi quadri – carte nel mazzo della Storia – la donna accenna appena un piccolo passo di danza. Un sostegno, un oggetto, eppure è la donna che centra questa maniera adottata dal pittore per liberarsi, proponendo in venti quadri il suo io. La professione di pittore ha nelle mani questo trionfo: uscire ogni giorno dal proprio isolamento, una sorta di maternità. E Carlo Quattrucci si è concesso tale maternità in questo atto creativo che guardiamo affascinati. Si. E lo scavo della sua coscienza umana nel gran carnevale della Storia, i miti smitizzati, sostituiti dal mito dell’Io come volontà creatrice, soddisfazione assoluta.
Assistiamo al gioco dei suoi ricordi. Saranno verità, gli uomini? Gli aztechi erano certi di scoprire in un fiore, in un canto “che sono veri i cuori degli amici”. Che cos’e un pittore? Un saggio frate disse:
Una luce, una torcia,
una grossa tela che non fa fumo,
uno specchio forato,
uno specchio bucato da entrambi i lati
sua e la tinta rossa e nera…
Carlo Quattrucci è stato a lungo nel paese in cui tanti poeti cercarono una maniera di esistere in lingua messicana. Quattrucci è un creatore dalla chiara finestra aperta: ad altri lo scoprire i valori tecnici della sua pittura. Io, nel guardarla, credo d’indovinare che gli piacerebbe avere un imbonitore, un altoparlante che gridasse: Avanti, avanti, fatevi avanti e guardate. La lanterna magica e accesa per tutti. Guardate! Il giacobino, il carbonaro, il conte Dracula, Giordano Bruno… sogni, sogni, sogni…