Settembre 8, 1976In rassegna stampa, 1976
Rassegna stampa

Carlo Benedetti | La Piazza Rossa è una scacchiera di "matrioske"

di Carlo Benedetti
Giorni | 8 settembre 1976


Da Roma al Messico, dalla Spagna a Mosca per scoprire dall’interno una realtà che un pittore occidentale non è mai riuscito a cogliere. In pratica è questa la “vicenda” di Carlo Quattrucci, che è passato dalla Roma di Campo de’ Fiori a Città del Messico con l’equipe internazionale di David Alfaro Siqueiros ed è piombato, ora, nel “pianeta Russia” tra matrioske (le tradizionali bamboline di legno che si infilano una nell’altra) e cipolle d’oro delle chiese, tra ciminiere e scritte cirilliche.
L’obiettivo del pittore, in una metropoli come questa, non è tanto facile da raggiungere. Quattrucci ha cercato, in primo luogo, di riproporre il “ritmo” romano di Campo de’ Fiori: negoziante di colori, corniciaio, tele esposte in negozio. Insomma tutto a portata di mano. Come a portata di mano erano le idee, i fatti, la società con tutti i suoi problemi.
«No, – ci dice – qui a Mosca l’impatto è avvenuto in modo un po’ particolare… diciamo in modo morbido, ma pieno di difficoltà e problemi. Così per circa quindici giorni non sono riuscito a lavorare. Ho registrato una paurosa mancanza di fantasia, di problematica. Insomma… il vuoto».
Il perché è semplice, dice Quattrucci: «In Italia, in un certo senso, ho fatto il ritratto del nemico. E questo è sempre più facile. Qui a Mosca, invece, mi sono trovato e mi trovo nella condizione di dover fare il ritratto dell’amico. E questo è molto più difficile, molto più problematico…».
Mosca e la Russia, quindi, come amici. Amici cioè come lo sono i vecchietti che si aggirano nei grandi cortili della prospettiva Leninskij, come i bambini che giocano nei campetti di verde che in inverno vengono attrezzati come campi per l’hockey. Così, a poco a poco, Quattrucci ha cominciato a “scoprire” la realtà moscovita: non quella delle facciate, ma quella degli interni, dei grandi fabbricati. E nell’azione di individuazione dei problemi della società è stato anche aiutato da quelle mille e mille preoccupazioni derivate dalla ricerca dei colori, delle tele, del cavalletto, dei chiodi, dei pennelli.
«Sì, tutto ciò – egli dice – mi è servito per tornare indietro con gli anni, diciamo a via Margutta… Poi sono venute le idee. Mi sono rimesso a guardare alla pittura degli anni ’20, ho riscoperti Tatlin, un vero tipo di manifesti non di regime. Manifesti, cioè, con idee rivoluzionarie fatti da artisti consapevoli e partecipi. Ho visto le scritte, i caratteri che si stagliano come elementi grafici. Ho guardato gli ideogrammi, le scritte sui muri delle case e così ho cominciato a ricostruire la storia del Paese. Che non è la tappa del contenutismo bruto, quella del realismo socialista, ma la tappa di una serie di persone che hanno partecipato attivamente e con intelligenza alla Rivoluzione».
È cominciata così l’avventura moscovita densa di spunti critici, di sensazioni, di curiosità inappagate. «Ecco – dice ancora Quattrucci – se dovessi dipingere i fiocchi di neve che coprono il Cremlino, allora me ne stare a Roma. Voglio, invece, scoprire altri elementi…».
Quando le idee hanno preso corpo
«La matrioska – chiediamo, riferendoci al quadro che ha dipinto non appena le idee hanno preso corpo e che ha voluto intitolare “Autoritratto con matrioska” – è un elemento, un simbolo…?».
«Ho cercato di legarmi – dice il pittore – all’elemento artigianale. Ho cercato di animare le matrioske, di personalizzarle e di farle muovere con le scritte dei cartellonisti degli anni ’20. in sintesi ho cercato, sin dai primi quadri, di comporre un paesaggio a mosaico con la matrioska, il fumo delle ciminiere, il volo degli uccelli. C’è poi un altro particolare: la matrioska è stato un po’ il cavallo di Troia per entrare, per cominciare a dipingere. Poi, una volta aperto il portone della fortezza, mi sono reso conto di molte altre cose e ho cominciato a dipingerle».
Mosca – notiamo – è una città che invita a dipingere. Ci sono nelle strade grandi spazi, tra le case si ergono pannelli giganteschi che portano scritte politiche oppure esortazioni ad attraversare le strade solo con il “verde …” Un mare di pannelli da riempire, insomma. È vero – dice Quattrucci – la prima impressione è quella di trovarsi in mezzo a una Fiera di Milano enorme in continuo allestimento. Gli esempi? Numerosi. Quando dipingo qui penso a Boccioni, al quadro della città che scende, che sale… Ieri, ad esempio, sono stato in un laghetto circondato da un bosco e che, praticamente, segna il confine tra un quartiere e l’altro. Ebbene, questa sensazione di trovarsi in una Fiera in allestimento l’ho provata anche sulle rive del laghetto. A distanza, infatti, si vede una casa una costruzione che sale a vista d’occhio… come in un gioco di bambini. Ecco, questa è la Mosca che io guardo e che voglio guardare. Non voglio dipingere il mondo vecchio, stantio fatto di cipolloni delle chiese. E, così, se devo proprio dipingere la Piazza Rossa la dipingo in modo tale da poterci leggere anche la periferia».
Ed è appunto sulla Piazza Rossa – su una certa Piazza Rossa – che Quattrucci ha fissato il pennello presentando una scacchiera costellata di matrioske. I colori sono il bianco, il nero e il rosso. I rossi, con cartelli e bandiere, avanzano sui neri. È la festa del primo maggio.