Rassegna stampa
Dario Micacchi | L’estremo addio al pittore Carlo Quattrucci
di Dario Micacchi
L'Unità | 3 maggio 1980
Si sono tenuti ieri mattina i funerali del pittore Carlo Quattrucci, amico e compagno. Nello studiolo di via dei Riari, le cui vetrate danno sul verde lucido degli alberi dell’Orto Botanico, entrava il primo vero sole di maggio. Le cose di Carlo stavano tutte ordinate come le aveva lasciate al momento del suicidio. Davanti alla bara sono passati tanti amici, compagni, artisti: Rafael Alberti, Renzo Vespignani, Ugo Attardi, Saverio Tutino, Ennio Calabria, Valeriano Ciai, Lorenzo Tornabuoni, Pino Reggiani, Riccardo Tommasi Ferroni, Antonello Trombadori, Mario Russo, Mario Lunetta, Pino Caccamo, Corrado Morgia, Marcello Confetti, Gino Giuda, Aldo Turchiaro, Ettore e Antonio Russo, Giuseppe Chiarante e Fortunato Bellonzi con sobrie parole hanno ricordato alcuni caratteri tipici e salienti del compagno e del pittore.
Carlo era nato a Roma 47 anni fa, e si era segnalato nei primi anni sessanta con dei dipinti espressionisti, notturni e furiosi, sulla violenza di classe e imperialista: la vedeva manifestarsi sin dal momento della nascita dell’uomo. Riprenderà il tema della violenza nei dipinti dedicati al movimento nero degli Stati Uniti e in quelli dedicati all’amatissima Spagna. Lavorò con Siqueiros a Cuernavaca, in Messico, al grande murale “La marcia dell’umanità” e ne tornò con molte idee nuove sulla pittura. Negli ultimi anni le sue immagini si erano rasserenate e motivi festosi spagnoli e passeggiate rimane erano i soggetti preferiti nel lavoro più recente. Compariva, spesso però, accanto alla luna e a una dolce figura di donna, uno strano albero secco e minaccioso come un totem. Sembrava un pittore sereno, sereno come si può essere oggi. Ci sbagliavamo e questo è un dolore nel dolore. Nel suo cuore e nei suoi pensieri cresceva la parte dell’ombra celata dal sorriso, dall’ironia, dal sarcasmo, dalla battuta feroce. Non c’è una risposta sola alla sua morte. Certo, nei giorni che viviamo, un compagno e un artista che se ne va così lascia un segnale: quella violenza che gli aveva tanto combattuto e dipinto si è insinuata tra noi. Ci sono oggi freddi silenzi e ciascuno tira via per la sua strada. Forse, qualcosa si è rotto in quella solidarietà umana nuova che tiene uniti i compagni. Certo, per Carlo non era agente.
Nel dargli l’ultimo saluto, nel dolore e nell’amicizia per la sua cara compagna Maria Josè, non dimentichiamo il segnale che ha voluto lasciarci e non dimentichiamo il suo lavoro di venti anni, che bisogna far vedere in una mostra degna dei suoi sentimenti e della sua generosità di pittore e compagno.