Testi critici
I Tonino Caputo | Ogni giorno Carlo veniva a trovarmi (...)
di Tonino Caputo
Dal catalogo della mostra retrospettiva di Carlo Quattrucci
Dicembre 1982 | Gennaio 1983
Ogni giorno, puntuale verso l’una e tre quarti, Carlo veniva a trovarmi nella mia abitazione-studio di via di Montoro, presso Campo de’ Fiori. Con la stessa puntualità io gli facevo trovare sul tavolo la bottiglia di vino leccese e due bicchieri, uno per lui, uno per me. Ne bevevamo uno a testa, in silenzio, a piccoli sorsi, come merita un vino fatto veramente con l’uva.
Dopo uscivamo per il consueto giro attorno al quadrilatero Montoro, Cappellari, Campo de’ Fiori, Monserrato. Per noi quella era la strada che, una leggenda inventata da noi stessi, faceva percorrere a mezzanotte un punto, al fantasma di Giordano Bruno ed ai suoi seguaci.
Finito il giro lo accompagnavo sino a Ponte Sisto, attraverso il quale rientrava nel suo studio a Trastevere.
Durante la passeggiata mi raccontava tutti i pericoli reali ed immaginari che aveva affrontato per venire in città (cosi diceva ogni volta che attraverso quel ponte abbandonava Trastevere).
E la traversata di Ponte Sisto non era mai priva di imprevisti, dallo sbandato che chiedeva cento lire per la siringa, alla zingara che ti voleva per forza leggere la mano, all’amico che chiedeva le diecimila in prestito. I suoi racconti erano razionalmente irrazionali, pieni di burlose invenzioni, di immaginari divertenti pericoli, e fra me e lui vi era una gara al paradosso. Poi improvvisamente ridiventava serio e mi chiedeva: “Ma diventeremo mai adulti noi due?” e quando io gli rispondevo: “Spero proprio di no” si sentiva nuovamente tranquillo. Per una drammatica ironia trovava sicuro soltanto il suo studio…
Poi improvvisamente cambiò. Continuava a venire ma facevamo la strada in silenzio. Una volta mi confesso che l’unica cosa che lo spaventasse veramente era la solitudine.
Ma di Carlo non voglio ricordare quel periodo. Per me sarà sempre quello di Barcellona, delle nostre partite a carambola, di quando un camionista ci urlò “turistas” perché giravamo con un cappello alla cordobles in testa. O quello di Roma delle serate con Fortunato Bellonzi, e ancora delle accanite partite a scopone, fra noi due da una parte e Marcello Muccini e Franco Valente dall’altra. Delle cene con Carlin Cattaneo, Nini Gromo e Franco Vitali. Per me sarà sempre quello che lasciava di dipingere per spiegare a me, come una volta Vespignani aveva spiegato a lui, i tempi di morsura per una lastra di rame.
Per me sarà sempre il Carlo che una volta mi disse: “Fortunato è mio padre, ma tu e Franco siete miei fratelli”, e subito volle che affogassimo questa dichiarazione in due bicchieri di Torres Dies.